Antonin Artaud (Marsiglia, 4 settembre 1896 – Ivry-sur-Seine, 4 marzo 1948) è stato un drammaturgo, attore, saggista e regista teatrale francese.

Nel libro Il teatro e il suo doppio, a pag 33 nel capitolo Il Teatro Alfred Jarry nel 1930, Artaud scrive:
“A partire dal Teatro Jarry, il teatro […] tenderà ad essere veramente un atto, su cui giocano tutte le sollecitazioni e tutte le deformazioni delle circostanze […].
Il lavoro, calcolato così nei particolari e fedele al ritmo scelto nell’insieme, si svolgerà a guisa di un rotolo di musica perforato in un pianoforte meccanico, senza disarticolazioni tra una battuta e l’altra, senza incertezze nei gesti […].”

Nello stesso volume Artaud espresse la sua ammirazione verso le forme orientali di teatro, in particolare quello balinese (Sul teatro Balinese, pag 170).
L’ammirazione ispiratagli dalla fisicità ritualizzata e codificata della danza balinese gli ispirò o meglio gli permise di mettere a fuoco quanto probabilmente aveva già elaborato: le teorie esposte nei due manifesti del “Teatro della Crudeltà“. Per crudeltà non intendeva sadismo, o causare dolore, ma pura catarsi. Per poter giungere a ciò, si deve ricorrere a tutto ciò che possa disturbare la sensibilità dello spettatore, provocando in lui una sensazione acuta di disagio interiore, che gli faccia vivere con agitazione tutta la rappresentazione.

In particolare Artaud riteneva che il testo avesse finito con l’esercitare una tirannia sullo spettacolo, e spingeva invece per un teatro integrale, che comprendesse e mettesse sullo stesso piano tutte le forme di linguaggio, fondendo gesto, movimento, luce e parola.

Tutto viene dato da gesti e voci basati sui simboli e non più sulle parole. Lo spettacolo è dato dal raptus spirituale, nello studio dell’espressione, nel suono. Il nostro teatro non ha mai saputo applicare la musica a fini drammatici così diretti. Il teatro balinese è un teatro che elimina l’autore a favore del regista, o meglio di un ordinatore magico. C’è qualcosa che supera il divertimento: non è un passatempo inutile, bensì una parte importante della vita, come un rito religioso che da un senso a tutto.

Tutti questi rumori del resto sono legati a movimenti, quasi fossero la conclusione naturale di gesti che hanno il loro stesso carattere; e ciò con un tale senso dell’analogia musicale che lo spirito finisce ineluttabilmente per confondersi, sì da attribuire alla gesticolazione articolata degli artisti le proprietà sonore dell’orchestra – e viceversa.


Sul Teatro Balinese – da “Il teatro e il suo doppio”

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